Una delle domande che mi viene rivolta più spesso dalle persone che seguo in coaching, in riferimento a qualche azione che loro fanno abitualmente e che però non permette loro di ottenere i risultati che vorrebbero (ad esempio non avere voglia di fare qualcosa di utile ma scomodo), è:
È normale che sia così?
È normale che io rimandi a fine giornata le cose più difficili da fare?
È normale che io non abbia voglia di studiare o lavorare tutti i giorni?
È normale che io non riesca a modificare questa brutta abitudine?
Analizziamo questa domanda e valutiamo assieme le conseguenze di porcela.
Se io rispondo che, sì, questo comportamento è normale, cosa accade nella mente della persona?
Di solito la persona si sente in qualche modo sollevata, in virtù del principio “mal comune mezzo gaudio”. La mia risposta non dà certo strategie utili per risolvere il problema , ma visto che “tanto lo fanno tutti”, la persona si sente autorizzata a continuare a pensare in modo poco utile. E non risolve il problema.
Se invece rispondo che non è normale, la maggior parte delle volte la persona sposta il focus dal problema a un altro problema, che questa volta coinvolge la sua identità. Non sentendosi “normale”, si chiede: cosa c’è di sbagliato in me? Perché non sono normale? Queste nuove domande non solo allontanano ulteriormente la persona dal modificare i suoi comportamenti poco funzionali, ma peggiorano addirittura la situazione estendendo il suo senso di inadeguatezza alla sua intera esistenza. Problema non risolto e, anzi, peggiorato.
Per la mia esperienza “è normale che sia così” è nella maggior parte delle situazioni una delle domande meno intelligenti che possiamo porci.